Introduzione alla giornata e presentazione del progetto “Memorie disperse, memorie salvate” – Elisabetta Donini
Grazie per essere venute e grazie per l’introduzione di Maria Rovero che è una delle co-gestrici dell’Archivio delle Donne in Piemonte. Siamo infatti una struttura non gerarchica con due co-delegate e sette co-gestrici.
Accennava Maria Rovero che l’Archivio delle donne in Piemonte è un’associazione nata circa quattro anni fa; si è infatti costituita formalmente con atto statutario nel giugno 2006, ma aveva alle spalle più di un anno di lavoro di un comitato promotore. Lo sottolineo, perché quel comitato promotore è scaturito da una convergenza di desideri, di interessi, di speranze, di intenzioni – e anche di qualche delusione di un passato in cui si erano già fatti dei tentativi nel senso di promuovere una raccolta di memorie di donne, ma erano purtroppo falliti.
Tutti questi desideri, speranze, interessi sono confluiti a partire da singole donne, da gruppi e da associazioni in vario modo legate al movimento delle donne a Torino. Direi che la base originaria è stata torinese, però fin dall’inizio abbiamo avuto chiarissima l’idea che non potevamo né dovevamo limitarci ad un’esperienza Torino-centrica, perché i rapporti socio-politico-culturali del movimento delle donne non sono solo nazionali e internazionali, ma si fondano su relazioni radicate in un dato territorio e nel nostro caso volevamo riferirci alla dimensione regionale. Oltretutto c’erano esperienze di altre aree, come la Lombardia, in cui già erano nati o stavano nascendo archivi delle donne; insomma, ci pareva che, anche dal punto di vista del dialogo con le istituzioni politiche, fosse maturo il momento per presentare un’iniziativa che come Archivio delle donne voleva e vuole essere autonoma e indipendente; una forma associativa cioè che fa base su di sé e che però ha nello stesso tempo ben presente che un’impresa come quella di salvare la memoria delle donne nella storia del Piemonte anche soltanto degli ultimi secoli, non può essere retta dalla sola buona volontà e iniziativa privata e che quindi era essenziale fin dall’inizio che noi dialogassimo con le istituzioni e che riuscissimo a far capire a interlocutori e interlocutrici politiche l’importanza di questo progetto.
Accenno soltanto al fatto che è stata predisposta per la discussione in aula una proposta di legge: la proposta di legge N. 409 per la tutela e la valorizzazione di ciò che attiene alla memoria delle donne. Si tratta di un’iniziativa del Consiglio regionale del Piemonte, sottoscritta da tutte le consigliere regionali. La nostra speranza, per quanto i tempi stiano diventando sempre più stretti, è che prima delle fine della legislatura venga istituita quella che la legge prevede come una “Casa degli Archivi delle donne”, in modo da avere una struttura in cui potranno confluire non soltanto eventualmente la nostra associazione, ma anche altre simili, come l’Archivio Piera Zumaglino.
C’è una ricchezza di risorse che hanno bisogno di avere un collegamento fra loro, sia in termini fisici, con una sede concreta, sia con le modalità che abbiamo sin dall’inizio promosso, cioè una rete di rapporti per la costituzione del cosiddetto archivio virtuale. Occorre da un lato andare a caccia di tutto ciò che esiste in archivi pubblici e privati e che sia attinente e di interesse per la memoria e la storia delle donne e dall’altro di mettere in rete le tracce dei materiali rilevati. In senso tecnico significa poter accedere all’informazione da più nodi che si sono collegati in una rete internet. Parte di questo lavoro è già stato fatto, anzi è stata la prima impresa in cui si è impegnato l’ARDP, con un finanziamento della Consulta Regionale Femminile: fra il 2006 e il 2007 è stata messa a punto una ricognizione degli archivi istituzionali di tutte le province piemontesi. Oggi ci sarà la relazione di Sabrina Contini sulla parte riguardante Novara.
Abbiamo fatto anche altre cose; le accenno, per arrivare a parlare del ciclo entro cui si colloca questo incontro. Tra le altre cose che abbiamo fatto, cito la cura che abbiamo ritenuto opportuno dedicare non solo agli archivi pubblici, ma anche a quelli privati. Infatti una dimensione molto evidente nei rapporti tra donne è che queste ultime tendono a non dare grande peso all’importanza delle loro carte personali, sicché tali carte rischiano di essere disperse assai più che non per gli uomini. Il darsi valore non è nelle abitudini più diffuse fra le donne. Quindi, riuscire a entrare nelle case, parlare con le persone, associare la dimensione della schedatura dei materiali esistenti a quella del dialogo, in cui il soggetto esprime se stessa e il senso delle esperienze di vita e delle vicende che si sono depositate in quelle carte, è assolutamente fondamentale e riporta a una dimensione – quella della narrazione – che per noi è anche il punto su cui si basa questo ciclo di incontri.
Accenno ancora ad altre nostre iniziative, come la pubblicazione di volumi. In particolare abbiamo promosso l’edizione di una biografia di Margaret Fuller, proto-femminista statunitense dell’Ottocento, curata da Ginetta Ortona, donna torinese del Novecento. Ci ha fatto molto piacere che una storica contemporanea come Gianna Montanari lavorasse sull’inedito lasciato da Ginetta Ortona su Margaret Fuller; così abbiamo potuto pubblicare la biografia di Margaret Fuller, preceduta da una ricostruzione della figura e delle opere di Ginetta Ortona. Anche in questo modo intendevo sottolineare che per noi l’archivio è soprattutto una rete di rapporti tra e con persone. Certo si materializza in carte, materiali, documenti, fotografie o quel che si vuole, ma contano i rapporti fra le persone.
Poi ci sono le ricerche, alcune in corso, altre già compiute. Ma veniamo al ciclo “Memorie disperse, memorie salvate”. Accennava Maria Rovero che questa è la quarta tappa di un percorso; nel maggio 2007 ci fu a Torino il primo incontro dal titolo “Memorie disperse, memorie salvate” e in quell’occasione privilegiammo un po’ l’ambiente torinese, per necessità e per scelta, perché ci eravamo dette che avremmo voluto realizzare incontri di questo tipo in tutte o quasi tutte le province del Piemonte, andando in cerca in ognuna di esse di specificità locali, sin dal punto di vista di come costruire il convegno, cercando di metterci in relazione con soggetti attivi in quel territorio, che perciò ci aiutassero ad entrare nelle caratteristiche peculiari del loro contesto, scegliendo temi e persone delle relatrici e relatori legate appunto a quell’ambiente. Per Torino ebbe una grossa parte la dimensione del lavoro, dal GFT all’Intercategoriale Donne Cgil-Cisl-Uil, per citare due casi, ma una grossa parte la ebbe anche il movimento delle donne e la riflessione sugli archivi di donne in costruzione o già sedimentati.
Venne poi la seconda tappa, che diventò doppia, perché si tenne in due sessioni nel 2008 a Torre Pellice e Perosa Argentina. Perché due sessioni? Perché la ricchezza della presenza e delle attività delle donne nelle valli del pinerolese e la vivacità dei gruppi di donne che già in rete fra di loro erano in grado di fare proposte sulle tematiche da portare nel convegno e sulle persone da coinvolgere nella discussione era tale che ci rendemmo conto che una giornata sarebbe stata troppo poco. Così – non operando distinzioni e separazioni dei temi per luoghi, ma anzi mantenendo in tutti e due i casi la trasversalità dell’attenzione per l’associazionismo delle donne, per la dimensione del lavoro, per quella della cura e dell’assistenza – tenemmo appunto un convegno a Torre Pellice all’inizio di aprile e uno a Perosa Argentina all’inizio di ottobre. E fu un’esperienza molto bella, almeno io l’ho vissuta come molto bella e molto ricca. Di nuovo fu fondamentale il fatto che si attivò una rete di relazioni sul territorio molto proficua; anzi, in quel caso da Torino lavorammo pochissimo, perché interagimmo con una rete di protagoniste locali molto legate fra di loro e con un fortissimo senso della comunità.
Adesso siamo arrivate alla quarta tappa: Novara. Anche qui – lo accennava Maria Rovero – non si sarebbe potuto fare se non si fossero trovati l’interlocutrice e l’interlocutore sul territorio disposta e disposto ad assumersi la messa in relazione con la selezione dei temi, la selezione delle persone, l’impianto dell’intero convegno. Rispetto a questo incontro il mio è dunque un augurio di buon lavoro, augurio che credo non retorico, perché dal programma che abbiamo di fronte sono certa che sarà anche questa una gran bella giornata.
Vorrei concludere con un’informazione: la quarta tappa non è l’ultima, anzi avrebbe potuto essere preceduta da un’altra, che avevamo messo in programma nel 2009, poi di fatto non siamo riuscite a portare a conclusione lo sviluppo dei contatti che abbiamo preso fin dal giugno scorso con il Verbano-Cusio-Ossola, più esattamente attraverso incontri nell’Archivio di Stato di Verbania con vari soggetti, donne di associazioni, donne con esperienze sindacali, donne con esperienze di lavoro. Stiamo così costruendo un’altra tappa del ciclo, ma alle “Memorie disperse” loro vogliono affiancare le “Memorie ritrovate”; si è di nuovo proposta una tale ricchezza di temi da indurci a pensare che anche in quella zona convengano due sessioni: una si svolgerà probabilmente alla Casa della Resistenza di Fondotoce, l’altra a Domodossola o nei dintorni, anche per dare spazio alle caratteristiche in certa misura differenti di quelle due aree. Quindi nella primavera del 2010 speriamo di realizzare anche l’incontro del Verbano-Cusio-Ossola.
Vi auguro buon lavoro.