Il fondo Mecozzi: dialogo per una memoria condivisa – Alessandra Mecozzi, Paola De Ferrari
Paola De Ferrari:
Buongiorno. Su incarico dell’Archivio Zumaglino mi è capitato di dover riordinare il fondo di Alessandra Mecozzi e quest’esperienza, che si è conclusa recentemente, ha portato poi, grazie al sostegno dell’Associazione Zumaglino, all’edizione dell’inventario[1]. Per me è stata un’esperienza interessantissima, importantissima, da cui ho ricavato alcuni elementi, che vi voglio trasmettere, di che cosa vuol dire il lavoro sulla memoria delle donne, come un lavoro di conoscenza, un lavoro epistemico, come dicono i filosofi.
E perché questo? Perché questo titolo?
Questo è uno dei tanti punti di vista con i quali si può raccontare il lavoro sugli archivi delle donne. In realtà, nel Novecento abbiamo avuto moltissimi esempi di memoria divisa. Il lavoro della memoria e sulla memoria viene sempre sottovalutato. Allora ci si stupisce se ci si accorge, magari a distanza di molti anni, e avendo in comune genere e generazione, di avere ricordi e opinioni diametralmente opposte sugli stessi fatti.
Questo lavoro è un processo conoscitivo continuamente riattualizzato. Il passato esiste perché esiste il presente, perché oggi noi qui lo ri-presentiamo. Ma noi non lo “estraiamo” da un deposito, bello intatto così come un file da una directory. In questo atto succede qualcosa che è oggetto di molte discipline, dalla neurofisiologia che studia la memoria come attività della mente, alla psicologia, ai saperi dell’inconscio, alla filosofia della conoscenza, all’informatica, e poi la storia e infine l’archivistica. E’ stato l’oggetto di un bellissimo Convegno, organizzato qui a Torino nel 2004, dal titolo: Il futuro della memoria, la trasmissione del patrimonio culturale nell’era digitale.
Posso dire questo: l’emozione e il grande piacere intellettuale che dà il lavoro sulla memoria è dovuto proprio a questo:
1) è un processo conoscitivo, che è intersoggettivo perché chi conosce e chi è conosciuto, persona vivente o scomparsa, sono sempre in un rapporto biunivoco. In questo caso io ho conosciuto un po’ Alessandra, prima attraverso le sue carte e il modo in cui le aveva conservate. Lei ha conosciuto un po’ me, attraverso le domande che le ho posto sui documenti stessi, sulla forma che prendeva il suo archivio, sulle presenze e le assenze – la memoria, l’oblio, il silenzio, la perdita (il risultato di questa discussione è nell’inventario all’Archivio) .
2) perché mentre conosci, cioè studi, scopri, riordini (faccio l’esempio delle attività che si svolgono trattando un archivio) mobiliti anche le risorse conoscitive di altre e altri, perché cerchi e scopri quanto qualcun altro ha già detto sull’argomento, perché stai dentro un gruppo, sei in relazione con qualcun altro (e questo perché la conoscenza è sempre un processo sociale, per quanto piccola sia la società che è coinvolta). In questo essere sociale e intersoggettiva può permetterti di uscire dal soggettivismo e cogliere un’oggettività. Ma qui si potrebbe specificare meglio, e il discorso si allungherebbe: rimando a Nicla Vassallo e al suo libro Filosofia delle donne[2].
3) Il lavoro sulla memoria mobilita inoltre le proprie conoscenze “competenziali”, il “saper fare” – dall’utilizzare un database al confezionare pacchi di documenti, un lavoro che traduce le scelte teorico-conoscitive in decisioni pratiche che producono oggetti concreti, che vedi e tocchi, e mobilita anche la soddisfazione di uno specifico senso estetico. In questo ho una debolezza, adoro le etichette dei faldoni fatte a mano: sono sempre un po’ disuguali, mai perfette. Però fanno emergere il ductus, la traccia della scrittura personale di chi ha lavorato sull’archivio. Questo vale per le scritture antiche – e anche per me.
4) Nel lavoro sulle carte d’archivio, l’elemento centrale è il riconoscimento dei contesti, il preservare i legami tra loro, che spesso non sono evidenti. Chi lo fa contestualizza se stesso, o se stessa, se così si può dire: ci si deve continuamente interrogare sui presupposti, talvolta non consapevoli, del proprio fare, delle proprie scelte. Entro certi limiti, ci si mette in gioco, in discussione.
5) Nella tensione alla conoscenza, e qui in particolare della memoria delle donne e delle forme e oggetti in cui si è concretizzata, nel passato remoto o recente, ci si confronta sempre con i valori e pregiudizi della società e per quanto riguarda le donne – ne hanno parlato prima le altre relatrici, Anna Bravo – questi sulle donne sono pregiudizi politicamente pesanti. Mi ricordo quando i nostri archivi non esistevano: non erano archivi, per i/le custodi di una ortodossia archivistica che negava la realtà per perseguire una sterilissima fedeltà ai testi dottrinali (che come minimo avevano cento anni).
Oggi invece ci sono varie iniziative che confortano sul cambiamento di punto di vista. Sono in corso censimenti e valorizzazioni non solo in Piemonte, ma in Toscana, nel Lazio, in Emilia-Romagna…
E’ emerso, nel lavoro di questi anni e di molte, archiviste e storiche, che la memoria femminile va sollecitata, non emerge spontaneamente. Questo comporta determinati rischi, perché gli archivi contemporanei delle donne hanno quasi tutti l’impronta della “volontarietà” con cui sono stati conservati e consegnati i documenti, alcuni e non altri. C’è la selezione e l’indisponibilità a consegnare tutto, specie le carte private e personali.
Ma mentre si affrontano questi nodi, e quindi si devono “tarare” le procedure di valutazione e archiviazione su queste caratteristiche, emerge un dubbio, che il carattere di “spontaneità” degli archivi personali con cui si fa il confronto, quelli di personalità illustri del passato e del presente, al novantanove per cento di uomini, siano anche essi segnati dalla stessa volontarietà – che la selezione ci sia stata sempre, almeno nei casi di documenti organizzati dal loro autore. Magari con caratteristiche diverse – meno pudori per le carte personali? A cui forse davano meno importanza? Argomento da approfondire. Questo argomento comunque fa emergere quanto la conoscenza della memoria femminile (e si potrebbe dire lo stesso nell’ambito della biologia, della medicina, della scrittura…) faccia fare passi avanti alla conoscenza in generale.
Il dialogo tra Alessandra Mecozzi e me a proposito del suo archivio ha cercato di andare in questa direzione.
Avevamo preparato una presentazione in power point, che è un percorso molto veloce dentro la biografia di Alessandra. Alessandra è stata ed è tuttora sindacalista, dirigente della Fiom, negli anni ’70 a Torino, adesso a Roma e ho fatto un veloce percorso dentro il suo archivio prendendo alcuni elementi che mi sembravano significativi. Non ci potremo soffermare su tutte le immagini che abbiamo selezionato.
Intanto Alessandra avrà sicuramente qualcosa da dire rispetto a questo suo lavoro di raccolta di documenti e di consegna al centro Zumaglino.
Alessandra Mecozzi:
In primo luogo, grazie per avere organizzato questa bella iniziativa e per averla organizzata in un posto così bello come questo, cosa non usuale, particolarmente per gli incontri delle donne; invece penso che ci meritiamo anche la bellezza.
Lo ha già detto Paola, io ho lavorato a Torino tra metà degli anni ’70 e tutti gli anni ’80, che per un verso sono stati molto duri, terribili, dopo la sconfitta alla Fiat, per il lavoro e il sindacato, e per l’altro, asimmetricamente, la storia delle donne di quegli anni è stata invece una storia molto viva, molto combattiva, molto creativa, insomma una bellissima storia. Io almeno l’ho vissuta così. Ho deciso di chiedere alle amiche, alle compagne del Fondo Zumaglino, della carissima Piera, se c’era qualche possibilità di realizzare proprio qui a Torino – in quella stessa sede, e in collegamento con la storia e la persona di Piera – questo fondo, che adesso si chiama pomposamente Fondo Mecozzi e che era una massa di carte, anche abbastanza polverose, portate via quando sono ritornata a Roma alla fine dell’89. Ho fatto il trasloco in gran fretta, senza alcun ordine, tranne quel poco che aveva messo ogni tanto qualche visita di mia madre: lo leggerete nella “Lettera a mia madre” che ho voluto inserire in questo libretto[3]. Insomma, erano carte in continuo movimento….
Quando ho visto tutte quelle scatole a Roma, vi devo confessare che il primo istinto è stato quello di liberarmene, di buttare tutto, perché non ne potevo più di avere la casa invasa. Però sarebbe stato veramente triste, troppo traumatico e – pensa e ripensa – mi è venuta appunto questa idea di archivio, tanto più che era veramente parte della mia vita a Torino, di una grande, importantissima esperienza collettiva e individuale, soggettiva anche, che io avevo fatto a Torino. Una esperienza sindacale, ma molto intrecciata con il femminismo, che io ho conosciuto, praticato e vissuto a Torino, dentro e fuori il sindacato, nel rapporto, di cui Piera Zumaglino è stata l’asse fondamentale, tra il femminismo della Casa delle donne, dei collettivi, dei gruppi e il femminismo interno all’organizzazione sindacale, che abbiamo chiamato “femminismo sindacale”.
Patrizia Celotto nella “Prefazione” di questo libretto[4] ha spiegato molto bene le caratteristiche di questo intreccio – e l’innesto su di esso del lavoro di Paola De Ferrari, che si è presa cura delle mie “carte” con “passione, pazienza, accuratezza”. E infatti la seconda questione di cui vorrei dire è che voglio fare un enorme ringraziamento, anche personale, a Paola De Ferrari, che in poco tempo, perché non ci conoscevamo, mi è diventata carissima; perché? Perché ha quello che a me manca totalmente, l’amore e il piacere messo nella cura delle carte delle donne… Un amore e un piacere, e anche un’intelligenza, che io – seguendo come ha organizzato il lavoro – ho ritrovato e che mi hanno fatto ripensare a cose che avevo scordato, avevo rimosso. Per me questo è stato molto importante, e non solo “il prodotto” e quindi, grazie tantissimo, Paola.
Voglio poi dire (e questo è proprio in contrapposizione con quello “l’amore e il piacere nella cura delle carte delle donne”) che in questo fondo c’è un vuoto, che riguarda un buon gruppo di anni, praticamente dal ’75 all’84. E’ un vuoto non totale, perché avevo altre carte e documenti a casa, però è un vuoto di buona parte, perché l’84 è stato l’anno in cui ho preso un’aspettativa dal sindacato. Sono andata negli Stati Uniti, sono andata in Egitto, ho viaggiato molto; allora non si usava prendere aspettative del genere, però ce l’ho fatta, come qui viene anche raccontato. La ragione è che mi serviva di vedere altro, di conoscere altro, di mettere la testa su altro: un po’ di rigenerarmi. In quello stesso anno venne fatto lo spostamento della sede sindacale, il trasloco da via Porpora a via Pedrotti, quindi da Flm a Fiom-Cgil. E purtroppo – questo perché ci sono persone che hanno il piacere e la cura, ma ci sono organizzazioni che invece non ce l’hanno proprio, riguardo alle donne ma non solo, c’è uno spreco – in questo trasloco andò tutto perso, tranne per fortuna una cosa che riuscii a recuperare al mio ritorno, quando ero così infuriata perché tutto era andato perso, una cartella con tutti i manifesti, le locandine di quegli anni, che sono stati gli anni di più forte presenza, dell’Intercategoriale Donne Cgil-Cisl-Uil, del femminismo nel sindacato, in maniera trasversale. Per fortuna, come sapete e oggi se ne parlerà, altre donne hanno conservato più di quanto fosse stato conservato dalla Flm o dalla Fiom e così abbiamo un bel libro[5], di cui parlerà Nicoletta Giorda, che riguarda proprio quegli anni; è una casualità, ma è una casualità molto importante, perché permette di colmare, almeno in parte, quel vuoto!
Mi dispiace che non si possa proiettare il power point, perché Paola aveva tratto 7 o 8 documenti da questo fondo – e come dicevo questo fa parte della sua intelligenza delle carte – che erano molto rappresentativi di tutto un percorso, dalla mia primissima esperienza, proprio da ragazzotta, quando ho cominciato a lavorare a Roma, (la mia primissima esperienza, di “lavoro in provincia”, a Crotone, dove ero quella che arrivava da Roma e portava il “verbo” romano: è un racconto abbastanza divertente, perché così ricordo quella esperienza…) all’ultimissima cosa ritrovata, la manifestazione “La prima parola e l’ultima”, che è del ’95. In mezzo c’erano altre cose, dalla conquista della Casa delle donne e la trattativa con il sindaco a Torino, al contratto del 1990, dove mettemmo l’articolo contro le molestie sessuali; c’è un manifesto, uno dei più belli – sono tutti bellissimi e mi dispiace che non ci sia la nostra ottima e carissima Lalla Fiori, che con la grafica, il disegno, l’invenzione ha interpretato l’iniziativa di quegli anni – manifesto che suscitò un certo pandemonio a Torino. Questo manifesto è la rilettura del famoso quadro del “Quarto stato”, rilettura in chiave femminista e in chiave anti-molestie sessuali! Infatti si vede il “Quarto stato” così come tutti lo conosciamo, però con alcune piccole modifiche: primo, la donna che ha di solito il bambino in braccio, non ha più il bambino; secondo, l’operaio che sta vicino a lei le tocca il sedere e, terzo, la donna fa il gesto di dargli uno schiaffo. Quindi era effettivamente una trasgressione molto forte e poi, come sapete, Torino in generale è una città piuttosto tradizionale, non è solo il mascolino, è anche un po’ perbenista, in questo caso era un po’ una forma di perbenismo di movimento operaio. Però è molto bello e poi ce ne sono tante altre di quelle cose che fece Lalla Fiori, manifesti bellissimi, quindi sono molto contenta di avere salvato di quegli anni questa cartella, che voglio mettere nel fondo, ma purtroppo me la sono scordata, l’ho lasciata a Roma, la porto la prossima volta.
Paola De Ferrari:
Alessandra non se lo ricorda, ma lei è stata la prima donna eletta nella segreteria nazionale della Fiom, proposta dalle donne del sindacato, la prima in cent’anni forse…
Alessandra Mecozzi:
Novanta.
Paola De Ferrari:
Novanta anni, quindi mi sembra una cosa da dire.
Alessandra Mecozzi:
Sì, è da dire, è anche una storia su cui, quando smetterò di lavorare freneticamente, cercherò di fare una riflessione, forse dovremo fare una riflessione collettiva su quella vicenda e cioè l’arrivare a un posto dirigente come quello, che era una rottura per un’organizzazione supermaschile, dopo novant’anni, l’arrivarci sulla carica delle donne, del femminismo e anche sulla voglia di trasgressione, e quanto questa voglia di trasgressione e di rottura, che io sentivo molto forte, la percepivo come una sorta di mandato… Poi la storia è stata molto più complicata, il conflitto è stato molto più aspro, il mandato delle donne è stato in realtà molto più debole di come appariva all’inizio, eccetera eccetera. Ci sono state tante cose che poi mi hanno portata – come scrivo e potete leggere – a uscire… non spontaneamente dalla segreteria nel 1994. Fa parte di una vita sempre all’interno della Fiom, “fedele nei secoli”, però anche con una varietà, una pluralità non solo di rapporti, di relazioni (e quella con le donne è stata sicuramente sempre centrale), ma anche diversità di attività, dalla contrattazione alla riflessione, all’ufficio sindacale, ai contratti …
E sicuramente – e poi chiudo – questa vicenda del femminismo rimane una delle vicende più vitali, su cui occorrerebbe fermarsi; dopo molto tempo, adesso un pochino abbiamo ricominciato, perché le più giovani ci hanno detto “voi vecchie avete fatto, ci venite a dire che siete state tanto brave e tutto, ma volete anche dire a noi e dare a noi la possibilità di utilizzare quest’esperienza?” Questo ce lo hanno detto in una riunione di delegate metalmeccaniche che abbiamo fatto recentemente e stiamo pensando che forse hanno ragione, che questo è anche un pezzo della nostra responsabilità. Certo ognuna ha le sue responsabilità: le “vecchie” di un certo tipo, però direi che le giovani hanno anche un tot di responsabilità che si devono assumere nel tracciare a modo loro la loro strada, che poi è un pezzo della strada comune e della voglia di libertà delle donne. Lo ha citato già all’inizio Anna Bravo, a proposito delle origini, perché non è che il femminismo è cominciato con la nostra generazione, è cominciato molto prima. Noi poi abbiamo fatto la nostra strada, a modo nostro, in quell’epoca; credo che oggi tocchi alle giovani fare lo stesso per comporre questo mosaico in movimento, che comunque andrà avanti inevitabilmente.
[1] Paola De Ferrari, Salva con nome. L’archivio di Alessandra Mecozzi, Associazione Piera Zumaglino, Archivio storico del movimento femminista, Torino 2007
[2] Pieranna Garavaso, Nicla Vassallo, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Roma-Bari 2007
[3] Op. cit. in nota 1.
[4] Op. cit. in nota 1.
[5] CGIL CISL UIL Gruppo donne progetto Mnemosine, Fare la differenza. L’esperienza dell’Intercategoriale donne di Torino. 1975-1986, a cura di Nicoletta Giorda, Edizioni Angolo Manzoni, Torino, 2007.
Abstract:
La memoria è più spesso divisa che condivisa, come dimostra la storia del ‘900.
Perciò non è scontato che due individue, simili per genere e generazione, possano condividere la memoria: ci vuole un “lavoro” apposito. Nel nostro caso è cominciato con Alessandra, che invia i propri documenti all’Archivio Zumaglino, nel 2003; è continuato con Paola, che li riordina, e nel frattempo tra loro si instaura un dialogo, per lo più a distanza. Dalla parte dell’archivista ha portato al tentativo di cogliere le caratteristiche salienti dell’archivio (e quindi, traslatamene, di quella parte di vita che le carte raccontano). Dalla parte dell’autrice dal “lasciarsi cogliere”, accettare di essere oggetto della visione e interpretazione di un’altra. Rispettando entrambe quella soglia di non detto e non dicibile – ma contrattandone ogni volta i limiti- di quella quota di provvisorietà e trasformabilità caratteristica della vita nel momento in cui è vissuta.
Paola De Ferrari, genovese, nata nel 1947, un passato come libraia, impegnata da sempre nella sinistra e nel movimento delle donne. Negli anni ’90 nella Rete Lilith ha organizzato il Gruppo di lavoro sugli archivi, che studia i temi teorici e pratici degli archivi femminili e femministi. Con Oriana Cartaregia ha pubblicato nel 1996 Reti della memoria. Censimento di fonti per la storia delle donne in Italia. Ha riordinato e informatizzato archivi femministi, e creato, con altre, il sw Lilarca e la base dati archivistica omonima, on line sul sito della Rete Lilith. Dal 2000 archivista professionista, ha partecipato a numerosi convegni e incontri sul tema e come docente a corsi di formazione sugli archivi delle donne (PIR Regione Toscana, Abside ecc.). Nel corrente anno ha completato il riordino del Fondo Alessandra Mecozzi, conservato dall’Archivio Zumaglino di Torino, e pubblicato l’inventario “Salva con nome. Il fondo di Alessandra Mecozzi”.
Alessandra Mecozzi, nata a Roma nel 1945. Segno Scorpione. Non sposata, senza figli. Padre lavoratore autonomo. Madre casalinga. 2 sorelle, 1 fratello, 6 nipoti, 2 bisnipoti. Ho studiato al Liceo Tasso di Roma. Laureata in filosofia nel 1970, con una tesi sulla Cgil (!). All’Università ho partecipato al movimento studentesco e incontrato il sindacato. Mai iscritta a un partito. Alla fine del 1970, comincio il lavoro nella Fiom nazionale, entusiasta. Nel 1974 proseguo alla Fiom di Torino. Nel 1975 incontro il gruppo dell’Intercategoriale donne e scopro il femminismo, costitutivo della mia identità e cultura. Negli anni successivi: Lega di Barriera di Milano e comincio la contrattazione collettiva, 30 fabbriche; poi Ufficio sindacale, coordinamento cassaintegrati Fiat e infine responsabile del settore indotto auto. Nel 1983: Convegno internazionale Produrre e Riprodurre. Nel 1987: Sindacato Donna. Nel 1989, eletta in Segreteria Nazionale della Fiom, torno a Roma, come coordinatrice del settore elettrodomestici. Nel 1993 esco dalla Segreteria Nazionale (in seguito ad atti di “insubordinazione”!…). Nel 1994-95: coordinatrice del settore Navalmeccanica. Dal 1996: Responsabile dell’Ufficio internazionale Fiom, dove lavoro tuttora, occupandomi anche, dal 2001, delle iniziative con i movimenti antiliberisti e pacifisti. Amicizie forti con donne. Storie d’amore e altro con uomini. Preferiti: leggere, cinema, conoscere culture e lingue straniere, nuotare. Mi ritengo fortunata perché ho potuto decidere della mia vita e fare esperienze appassionanti.