Se dopo mesi di lavoro si rileggono i documenti preparatori all’avvio del censimento degli archivi di donne, di associazioni e di movimenti femminili – poiché non di archivi di genere ma di archivi femminili  si occupa il censimento su scala regionale di cui si è appena conclusa la prima fase – ci si accorge che molti degli interrogativi presenti allora erano ben fondati. Innanzitutto quello relativo all’arco cronologico da esaminare. Se da un punto di vista storico il periodo tra la fine dell’Ottocento e il Novecento è di grande interesse sia perché, grazie al solidarismo mutualistico, si realizzano le prime esperienze associative delle lavoratrici, sia perché il movimento pro-voto delle donne si sviluppa in quegli anni, si è preferito invece spostare lo sguardo più avanti, avendo il progetto tra i suoi obiettivi quello di ricuperare i fondi documentari di donne che hanno avuto un ruolo in campo politico e sociale nel corso del Novecento. Si è quindi deciso di considerare come terminus a quo del censimento  la prima guerra mondiale, anche se viene sempre annotata in scheda separata l’esistenza di documentazione di sicuro interesse per la ricerca relativa a periodi precedenti. Il secondo interrogativo, considerata l’ampiezza dell’area da esaminare in un tempo breve ( l’intero territorio regionale piemontese, ossia una città metropolitana, Torino, e otto province ), concerne le tipologie di archivi da considerare. Emergeva a questo proposito la difficoltà di orientarsi nel mare magnum delle raccolte documentarie su esperienze individuali e collettive. I motivi più disparati per cui si fanno pratiche comuni e la facilità con cui ci si associa – in alcuni momenti anche per il semplice gusto o piacere di stare insieme – per raggiungere obiettivi condivisi ma anche per rompere tradizioni di isolamento o per superare delle fragilità o per trattare i temi specifici dell’ essere e del sentirsi donne, producono testimonianze delle esperienze vissute di vario tipo; alla fine si tratta di decidere se privilegiare il censimento dei fondi documentari relativi alle donne esistenti nelle sedi archivistiche istituzionali o mettersi sulle tracce degli archivi sconosciuti, a rischio di dispersione, comunque difficilmente accessibili. Nel caso nostro la scelta di partire dagli archivi istituzionali ( in particolare da quelli di sindacati, partiti, organizzazioni e associazioni strutturate ) è stata preziosa anche per individuarne altri e soprattutto per suggerire nuove piste da percorrere durante la rilevazione.

L’esperienza del censimento, al di là dei suoi risultati, anche se inevitabilmente parziali e provvisori, è stata l’esperienza di un confronto e di una discussione, a mio parere rilevante sotto il profilo scientifico oltre che tecnico, proprio su questi temi. Poiché le ricercatrici dovevano presentare ogni due mesi all’Ente finanziatore una relazione sul lavoro svolto, che doveva ottenere l’approvazione dei membri del Comitato Scientifico,  le une e gli altri si sono ritrovati a discutere per interi pomeriggi dei problemi emergenti nel corso del censimento. Si è trattato di incontri assai fruttosi, perché impostazione del lavoro del censimento, esiti delle ricognizioni, problemi relativi all’inseriemento dei dati nel software Guarini archivi sono stati oggetto di un vero e proprio lavoro seminariale che trascendeva gli aspetti puramente tecnici del lavoro per affrontare quesitit di natura storica, con particolare attenzione alla peculiarità della presenza femminile. Credo che questo sia uno degli esiti più importanti che sfata, tra l’altro, se qualcuno ancora lo pensa, la convinzione che la specializzazione archivistica non sia percorsa da interrogativi storici. All’opposto, quanto più alta essa è tanto meglio permette di definire l’oggetto dell’indagine. La qualità delle ricercatrici sotto questo profilo, oltre ovviamente alla buona conoscenza delle tematiche di genere e alla partecipazione personale alle finalità dell’iniziativa, ha permesso a tutta l’équipe di compiere un’esperienza davvero arricchente.

Il lavoro ultimato si presterà ovviamente a numerosi e diversi percorsi di analisi, oltre che a fornire indicazioni indispensabili per avviare ricerche di merito sulle carte.

Fin d’ora qualcosa emerge su  cui val la pena soffermarsi almeno indicativamente.
Intanto su scala regionale, Torino, con il suo cospicuo numero di associazioni di donne, si segnala rispetto a tutti i capoluoghi di provincia come sede naturale di aggregazione separata per l’impegno politico, sociale, culturale e religioso, oppure per tematiche squisitamente femminili.
Le varie province appaiono invece caratterizzate da aggregazioni separate in cui hanno peso peculiarità locali, ad esempio la risicoltura per il vercellese; agricoltura, artigianato e terziario nel cuneese; forte sindacalizzazione nel biellese e così via.

Dovunque sono presenti, ovviamente con entità diverse, da un lato Soroptimist, dall’altro Cif (Centro italiano femminile) e Udi ( Unione donne italiane).
Le associazioni femminili militanti, nate spesso nella stagione di fioritura dei movimenti, sembrano caratterizzarsi, come in genere tutti questi, per una grande frammentazione e una durata nel tempo piuttosto breve. Le loro carte si sono conservate laddove c’è un istituto che fa da punto di riferimento e che diventa l’erede naturale anche degli archivi privati ( vedi ad esempio a Torino la Casa delle donne e il Centro Studi Piero Gobetti e ad Alessandria l’Istituto storico della resistenza).

E’ interessante osservare che la memoria delle donne è da sempre conservata presso le grandi sedi sindacali, che, del resto, assai meglio e assai più dei partiti, hanno provveduto per tempo e per lo più in maniera non artigianale a organizzare e a rendere accessibili i loro archivi.

Un argomento non trascurabile è costituito dagli archivi di grandi personalità, intorno a cui è ruotata molta della storia delle donne in sede locale o, dati i loro impegni, anche su scala nazionale. Qualche nome, appena per circostanziare l’accenno: Marcella Balconi; Angiola Massucco Costa e, tra le viventi, Bianca Guidetti Serra.

Nei confronti di queste personalità che sono state suscitatrici di iniziative, e di cui occorrerebbe stilare un elenco, ma anche delle semplici aggregazioni di donne consapevoli del loro essere donne, bisognerebbe lavorare per “salvarne” gli archivi e per valorizzarli. Purtroppo, come si è dovuto rilevare in parecchi casi, se non c’è stato un conferimento diretto o almeno un’indicazione della destinazione delle proprie carte da parte del soggetto, alla sdua scomparsa l’archivio viene alienato o va disperso, se non distrutto.

Tornando ancora a parlare del censimento, che costituisce la base per ogni ulteriore progetto, emergono alcuni settori da considerare come importanti e urgenti. Si tratta di settori in cui la presenza femminile è garantita e altri in cui essa è esclusiva o preferita a quella maschile in ragione del luogo comune ricorrente che definisce i “mestieri da donne”.

Ho in mente per il secondo tipo le scuole modellate sullo stereotipo di donna pienamente realizzata nei lavori di cura e di conseguenza poco o per nulla frequentate dai maschi ( vedi istituti tecnici femminili; scuole professionali femminili; scuole e istituti magistrali; scuole di servizio sociale; scuole per infermiere ecc.); per il primo tipo invece le sezioni femminili o i reparti delle carceri, dei manicomi, degli ospedali, delle case di cura, in cui la popolazione femminile è preminente non solo tra gli ospiti ma anche tra gli operatori dei settori.

Merita una particolare considerazione l’universo della vita consacrata femminile in gran parte impegnata nell’insegnamento, nella cura e nell’assistenza, nei cui archivi ( ordini e congregazioni religiose) non è certo facile penetrare, ma della cui attività nei campi sociali è possibile trovare documentazione nelle sedi in cui essa è svolta.

Credo che di carne al fuoco ce ne sia molta e di idee anche; il problema vero  da risolvere è quello del reperimento delle risorse, soprattutto economiche. Questione decisiva, anche se in sé piuttosto semplice.

 Abstract:
Il censimento degli archivi di donne, di associazioni e di movimenti femminili, su scala regionale, nei suoi primi provvisori risultati offre terreno per alcune considerazioni di carattere generale. Innanzitutto il particolare interesse da cui ha preso le mosse la ricerca ha indotto a sottoporre a un’interrogazione inedita archivi istituzionali, molto frequentati dagli studiosi, ma ben poco utilizzati per indagare la storia delle donne. Ed è in questa direzione che rimane da compiere un lavoro di approfondimento: poiché si tratta di carte comunque “salvate”, nel lavoro di censimento si è preferito dare la precedenza ad archivi a rischio, ossia ad archivi privati o conservati in condizioni precarie. Per ciò che concerne questa seconda categoria, in alcuni momenti storici emerge una ricchezza creativa cui non corrisponde né la consistenza né la durata delle iniziative; la garanzia di stabilità è offerta dalla presenza in loco di istituzioni di riferimento, che spesso sono quelle che si sono incaricate di non disperderne la memoria.

Dora Marucco. E’ docente di Storia delle Istituzioni Politiche nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. I suoi principali studi riguardano il solidarismo di natura previdenziale e l’associazionismo operaio tra Otto e Novecento; gli apparati conoscitivi dello Stato, in particolare l’amministrazione della statistica ufficiale; il mondo degli impiegati pubblici.